Per anni il calcio femminile è stato considerato uno sport di nicchia. Questo ha comportato, come effetto collaterale, la mancanza di sponsor - quindi anche di soldi - e la scarsa visibilità. Recentemente però, grazie all'abbattimento di alcuni pregiudizi, ma soprattutto all'aumento della sensibilità nei confronti della situazione precaria delle calciatrici, le cose stanno iniziando a cambiare. Già nel 2019 i mondiali di calcio femminile avevano ottenuto dei numeri altissimi in termini di copertura e visibilità mediatica in tutto il mondo, con un totale di 1,12 miliardi di utenti televisivi e digitali. In Italia la partita Italia-Brasile, trasmessa sulla RAI, aveva fatto il 29,3% di share, sfatando quindi ancora una volta il mito dello "sport che non interessa a nessuno".
La UEFA Women's Champions League attualmente in corso è invece la prima competizione ad avere una copertura integrale fin dall'inizio su diversi canali. La Juventus quest'anno è l'unica squadra italiana ad essere ancora in corsa in questa competizione. Lo scorso 13 ottobre le giocatrici bianconere sono riuscite a tenere testa alle giocatrici del Chelsea, vice campionesse d'Europa e con quattro candidate al pallone d'oro in campo. La partita ha inoltre raggiunto un record di spettatori (ce n'erano 16.871) all'Allianz Stadium di Torino. In passato era stata proprio la Juventus a contribuire all'aumento di visibilità del calcio femminile in Italia, iscrivendo la neo-squadra femminile direttamente in Serie A nella stagione 2017/2018, come ha spiegato un articolo di Forbes dedicato alla Serie A femminile.
La calciatrici di Serie A passano la maggior parte delle loro giornate ad allenarsi, giocare e viaggiare (per le partite fuori casa). Eppure, in Italia, la Serie A femminile non viene riconosciuta come campionato sportivo professionale, bensì come amatoriale. E mentre i colleghi calciatori in Serie A hanno uno stipendio minimo di almeno 42.477 euro, le giocatrici "dilettanti" di Serie A non possono legalmente ricevere uno stipendio più alto di 30.658 euro. A confronto, nel Regno Unito, le calciatrici della Women's Super League guadagnano fino a 200.000 sterline, circa 237.000 euro, all'anno. Inoltre, non essendo riconosciute come professioniste e non avendo un contratto di lavoro, alle calciatrici italiane mancano alcuni diritti dei lavoratori basilari, come l'assicurazione sanitaria o la pensione statale.
Questa situazione non durerà ancora molto però, perché nel 2020 la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio), ha fatto partire un processo di transizione per cambiare lo status delle giocatrici di Serie A, riconoscendo il professionismo. Infatti, nella stagione 2022/2023 (quindi l'anno prossimo), le calciatrici saranno finalmente riconosciute pienamente nel loro ruolo di professioniste sportive, trasformando il calcio femminile italiano una volta per tutte. Le cose cambieranno non solo per le atlete, ma anche per le società sportive: potranno tesserare più facilmente le giocatrici extracomunitarie (perché le atlete potranno finalmente richiedere un permesso di soggiorno per lavoro) e partecipare al calciomercato, rendendolo una potenziale fonte di entrate.
Se nel 2021 la situazione sta quindi finalmente migliorando, chissà dove sarà il calcio femminile nel 2031. Le giocatrici avranno finalmente il riconoscimento che gli spetta e se una bambina sognerà di fare la calciatrice - o di lavorare in ambito calcistico - non avrà problemi a trovare delle strutture idonee che saranno pronte ad accoglierla per aiutarla a perseguire il suo desiderio e la sua passione. La Juventus sostiene da anni il calcio femminile e continua ad impegnarsi perché le calciatrici e lo sport ricevano le dovute attenzioni, aiutando anche le più giovani a crescere e diventare professioniste. Storie, che vengono anche raccontate sul profilo Instagram @juventuswomen, che consigliamo di seguire per restare aggiornati.