Intorno ai nostri corpi e alla loro immagine ci sono molte teorie, problemi, storie e opinioni. Quando si parla di body positivity o altri movimenti che cercano di cambiare il significato di quello che molti pensano sia il "corpo perfetto", si finisce spesso per scontrarsi con altre persone e, alla fine, non si arriva quasi mai ad una conclusione utile. Questo non solo perché la questione dei corpi è complessa, ma soprattutto perché è sempre, totalmente e, aggiungerei, fortunatamente soggettiva. Spesso ci dimentichiamo quanto sia bella la diversità dei corpi e, soprattutto, che non esiste niente di simile alla perfezione fisica. E così finisce che cerchiamo di uniformarci, adattarci a quelli che sono considerati i canoni di perfezione estetica, mettendoci quindi in certe categorie e sentendoci spesso a disagio nella nostra pelle.
La questione del corpo è legata alla salute fisica: è giusto avere riguardo nei confronti del nostro corpo per stare bene con noi stessi. Questo non significa però che ci sia una regola unica e assoluta. Ogni persona può avere dei bisogni diversi, proprio perché ogni corpo è diverso. Io, ad esempio, adoro andare a correre quando vado in palestra e so che può fare molto bene (anche allo spirito), ma, purtroppo, ho notato che alla fine di ogni corsa le ginocchia mi fanno male. Per questo, ascoltando il mio corpo, ho capito che è meglio passeggiare o fare altri tipi di esercizio fisico. La regola d'oro per me è quella che ognuno e ognuna deve sentirsi libero e libera di praticare sport come vuole (o anche non praticarlo proprio, se non ne sente il bisogno).
Storicamente ci sono stati tanti ideali di bellezza fisica diversi e soltanto negli ultimi vent'anni siamo passati dalla magrezza alla formosità come standard da seguire. Queste mode ci sono da anni e, probabilmente, ci saranno ancora per un bel po', ma è davvero possibile liberarsene? Quando ero un'adolescente mi capitava di studiare il mio corpo allo specchio. Guardavo la mia pancia mettendomi di profilo, chiedendomi se andasse bene o se fosse troppo "gonfia". Prima mi giudicavo da sola, poi sceglievo cosa mettere. Essendo cresciuta all'inizio degli anni Duemila, dove la magrezza era indicatrice di bellezza, avevo un po' quel pensiero lì, o almeno questa è la spiegazione che mi sono data. Inoltre ero, e ancora sono, bombardata di immagini di persone con i cosiddetti "fisici da urlo" ... quindi difficile non fare dei paragoni. Ancora oggi seguo (inevitabilmente) certi ideali di bellezza fisica, però almeno ne sono consapevole. Perché quello che conta non è avere certe forme, ma accettare il proprio corpo per quello che è.
Alla fine siamo un po' tutti nella stessa barca: sentiamo collettivamente la pressione sociale sui nostri corpi. Non produrre pensieri di giudizio negativo sul nostro corpo, diventa quindi ancora più difficile. Se non lo facciamo noi, ci pensa qualcun'altro. Tempo fa ho partecipato ad una festa piscina, dove sembrava che tutti guardassero gli altri (corpi) per creare dei metri di paragone. Quante persone facevano poi battute sui loro corpi per mascherare la vergogna che, evidentemente, provavano. Mi aveva fatto talmente impressione perché mi ero resa conto che, durante un momento di festa, alla fine ci sentivamo un po' tutti a disagio. Visto che è molto difficile liberarsi di certe idee - e questo non vale solo per questioni estetiche - potrebbe essere utile parlare apertamente di queste questioni. Potrebbe toglierci quella sensazione pressione sociale, almeno per un po'.
Prendersi cura del proprio corpo, anche facendo sport, rimane però ugualmente importante. Quello che cambia poi, quando siamo più consapevoli del mito della perfezione fisica, è il modo in cui affrontiamo, per esempio, le visite in palestra. Per anni ho pensato che in palestra fosse socialmente ammesso soltanto un certo tipo di persone, o meglio, un certo tipo di corpi, muscolosi, scolpiti e tonici. Di conseguenza l'idea di andare vestita con la mia tuta sgualcita, una vecchia t-shirt di mio padre e la mia mollezza fisica, in un ambiente dove mi sembravano tutti "perfetti", non mi allettava molto.
Però mi sono dovuta ricredere perché ci sono palestre, come le palestre McFit, che hanno invece una cultura del fitness inclusiva, dove tutti sono benvenuti, qualunque sia lo scopo del workout. Andando in una delle loro palestre - che ho trovato, oltre che molto pulita, anche molto luminosa - ho percepito un clima invitante, disteso e positivo. Non mi sentivo omologata come quella che "è la prima volta da anni che viene in palestra", perché c'erano tante persone diverse dentro e non ho mai percepito di venire giudicata in alcun modo. Questo è importantissimo per chi, come me, va con tutte le proprie insicurezze in palestra e ha bisogno di sentirsi a suo agio e al sicuro mentre si allena (o cerca di capire come funzionano le attrezzature). Così lo sport può significare per davvero un voler bene a sé stessi, anziché un perfezionarsi per adeguarsi all'ideale di un fisico perfetto, che comunque non esiste.